MATERNITA’ SURROGATA La Corte Europea dei diritti dell’Uomo torna sull’argomento con Paradiso e Campanelli contro Italia G.C. 24 gennaio 2017

L’allontanamento di un bambino, nato da maternità surrogata, che non ha legami biologici con gli aspiranti genitori, non è contrario alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

E’ quanto deciso dalla Grande Camera della Corte di Strasburgo nel caso Paradiso e Campanelli c. Italia che ,con sentenza del 24 gennaio 2017, ha ribaltato la precedente decisone della Camera che, invece, aveva condannato l’Italia per violazione dell’art. 8 della Cedu.

Il caso riguarda due cittadini italiani, Donatina Paradiso e Giovanni Campanelli, che dopo aver cercato, invano, di avere un figlio, anche attraverso il ricorso alle tecniche di riproduzione assistita, ottennero regolare autorizzazione alla adozione, alle condizioni previste dalla normativa interna. Avendo atteso inutilmente anche la possibilità di poter adottare, decisero di ricorrere, nuovamente, alle tecniche di riproduzione assistita e ad una madre surrogata, in Russia.
A tal fine contattarono una clinica a Mosca dove la sig.ra Paradiso consegnò il liquido seminale del marito, opportunamente conservato. Nel frattempo, avendo incontrato la disponibilità di una madre surrogata, stipularono un contratto di maternità surrogata gestazionale con la clinica.

All’esito della fecondazione in vitro, furono impiantati due embrioni nel grembo della madre surrogata. La clinica russa certificò che i predetti embrioni da impiantare erano stati ottenuti col liquido seminale del marito della signora Paradiso.
Il bambino nacque, dunque, a Mosca il 27 febbraio 2011. Lo stesso giorno fu acquisito formale consenso della madre surrogata (rimasta sconosciuta) alla registrazione dei signori Paradiso e Campanelli quali unici genitori del bambino che in quanto tali vennero indicati nel certificato di nascita russo, conformemente alla legge russa ed alla Convenzione dell’Aja del 5 ottobre 1961.

Successivamente, ottenuto dal Consolato italiano a Mosca la documentazione per il rientro nel proprio Paese, sulla scorta del certificato di nascita registrato a Mosca, la sig.ra Paradiso rientrò in Italia insieme al piccolo T.C. e fu chiesta la registrazione del certificato di nascita presso i competenti Uffici comunali.

Nelle more, su comunicazione del Consolato Italiano a Mosca, che aveva informato le competenti autorità italiane circa il sospetto di falsità delle informazioni contenute nella documentazione concernente la nascita del bambino, la competente Procura della Repubblica avviò una indagine penale in danno dei signori Paradiso e Campanelli perchè sospettati di “false dichiarazioni di stato civile”, ai sensi dell’articolo 567 del codice penale, di “uso di documenti falsificati” ai sensi dell’articolo 489 del codice penale e del reato di cui alla sezione 72 della legge adozione, dal momento che avevano portato il bambino in Italia in violazione della procedura prevista dalle disposizioni in materia di adozione internazionale.

Contestualmente, il competente Tribunale dei minorenni sospese la responsabilità genitoriale dei signori Paradiso e Campanelli, nominò un curatore per il piccolo T.C. che venne collocato presso idonea struttura e subito dichiarato in stato di adottabilità, siccome si ritenne che essi avessero portato in Italia dall’estero un bambino che non aveva alcun legame biologico con entrambi i genitori (legame peraltro escluso dal test del Dna ) e che era stato concepito in Russia attraverso tecniche di riproduzione assistita ritenute illegali secondo la legge italiana.

Nonostante la successiva dichiarazione della clinica russa, che attestava un errore nell’uso del liquido seminale, e dunque la conseguente, paventata, buona fede dei ricorrenti , nonché l’accertata idoneità genitoriale degli stessi, le Autorità italiane non acconsentirono né all’affidamento, né alla loro adozione del piccolo, che venne, perciò, adottato da un’altra coppia.
Contrariamente a quanto affermato dalla sentenza di Camera, ora il Giudice di Strasburgo ha escluso l’esistenza di una familia de facto meritevole di tutela nell’ambito dell’art. 8 della Cedu.

E ciò stante la ritenuta assenza di un legame biologico tra il bambino ed i ricorrenti ed il breve
intercorso di tempo trascorso col piccolo ( pienamente valorizzato, invece, nella precedente sentenza) e la situazione di incertezza dei legami dal punto di vista legale e nonostante l’esistenza di un progetto genitoriale e la qualità dei legami affettivi verso il bimbo.
La Corte nella recente sentenza ha, d’altra parte, ritenuto che le misure adottate dalle autorità italiane, che hanno portato alla permanente separazione dei ricorrenti dal bambino, meritano di essere esaminate solo nell’ambito dell’art. 8 della Cedu, sotto il profilo della tutela del diritto dei ricorrenti alla propria “vita privata”. L’ingerenza, tuttavia, è stata ritenuta legittima ai sensi del § 2 della citata norma.

Ed invero, secondo l’ultimo pronunciamento, il giudice di Strasburgo ha afermato che l’ingerenza statale attuata con le drastiche misure messe in atto dalle Autorità preposte, è conforme a legge poiché la normativa interna rendeva prevedibile che le condizioni verificatesi in concreto in capo al minore ne avrebbero potuto comportare la dichiarazione dello “stato di abbandono”.

Tali misure, secondo la Corte, perseguono altresì uno scopo legittimo, e cioè mirano a prevenire disordini ed a tutelare i diritti e le libertà dei minori. La Corte inoltre ha ritenuto legittima ai sensi dell’articolo 8 § 2 della Cedu la volontà delle autorità italiane di ribadire la esclusiva competenza dello Stato nel riconoscimento di un rapporto di filiazione unicamente nel caso di legame biologico o di adozione legittima , al fine di proteggere i minori.

Le misure intraprese, infine , sono state ritenute necessarie, stante la grave situazione di illegalità in cui i ricorrenti hanno agito e si è, inoltre , ritenuto essere stato effettuato un equo bilanciamento dei diritti in gioco.
Esaminando il caso dal solo punto di vista della tutela della vita privata dei ricorrenti, la Corte ha avallato l’operato dello Stato, riconoscendo in capo a quest’ultimo l’esclusiva regolamentazione e riconoscimento del rapporto di filiazione ed affermando che, in definitiva, le drastiche misure adottate sono da considerarsi quale prevedibile, reazione dello Stato alla violazione delle leggi italiane da parte dei ricorrenti ed alla situazione di illegalità ad essi attribuibile.

Ritenendo di escludere l’esistenza di una famiglia di fatto, in considerazione della semplice durata del rapporto, senza adeguatamente considerare l’intensità del vincolo instaurato tra i ricorrenti ed il minore, la Corte Europea ha,tuttavia, volutamente (?) evitato di affrontare il vero problema, sul quale invece si è soffermata la Camera dichiarando la violazione del diritto alla protezione della vita familiare e cioè: se, pur a fronte di una ritenuta situazione di illegalità creata dagli stessi ricorrenti la dichiarazione dello stato di abbandono e le drastiche misure poste in essere anche in danno del minore costituissero una grave “punizione” anche per quest’ultimo, il cui interesse deve, invece, ritenersi prevalente e superiore al di là di qualsivoglia vincolo convenzionale, biologico o adottivo.

D’altra parte la mancata unanimità nella decisione, undici voti contro sei, e l’allegazione di numerose opinioni concorrenti e dissenzienti, testimoniano il travaglio delle conclusioni su un tema così estremamente sensibile, sul quale il Giudice internazionale ha voluto in qualche modo ribadire la supremazia dello Stato ed il necessario dovere del rispetto delle regole, sempre.
Iolanda De Francesco
avvocato del Foro di Lecce

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